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Di seguito, le parole di Stefania Portaccio pubblicate sul quadrimestrale Le Voci della Luna numero 69 su di me e su Scie
Raffaele Sabatino, Scie
I premio sezione A
Scie di Raffaele Sabatino è una silloge compatta, articolata in tre parti di dieci testi ognuno, introdotti dalla lirica che dà titolo all’intera raccolta, dove si mette subito in primo piano il carattere prezioso di ciò che è comune e quotidiano, come quella connessione pacifica che può legare un padre e un figlio diversamente affaccendati in casa. Fin dalla prima lettura risalta la dote principale di queste poesie, ovvero la loro capacità descrittiva (di figure umane, di stati d’animo, di luoghi), che nei momenti più intensi ha la vividezza della narrazione cinematografica.
Nella prima sezione l’attenzione è concentrata sul tratteggio di personaggi ai margini: l’emigrato meridionale devastato dall’alcol (“Uno fuori”), i vicini di casa di origine indiana (“neighbours”), l’apprendista parrucchiera e il meccanico che si amano “a vanvera”, novelli Romeo e Giulietta per cui “nessuno si ammazzerà” (“Giulietta e Romeo”), “qualche matto vero” chiuso dietro le grate di un ambulatorio della ASL (“psychotherapy”). Una poesia degli ultimi che articola sapientemente il suo registro in equilibrio tra la solidarietà sorridente dei testi di Lucio Dalla e il realismo ruvido di Bukowski, per quanto meno disperato. Non c’è infatti maledettismo in questi versi, né una deliberata volontà di sconvolgere piuttosto la quotidianità umile di certe esistenze viene catturata con tenerezza, con una attenzione alle piccole cose, che più che una scelta di poetica sembra una necessità etica ed esistenziale. Quando osserva queste vite segnate dalla solitudine o dalla povertà, Sabatino le illumina e le fa risaltare nella loro bellezza o pregnanza grazie a un sermo cotidianus privo di posa e di enfasi.
Nella seconda parte predominano i ricordi di vita familiare, di padre, ma anche di figlio. Melanconia che non si fa lamento, ma canto, omaggio a cose e persone del passato. Lo sguardo in questa sezione è spesso dalla Svizzera, e nella melanconia si sommano quindi il passato interno e l’estraneità al luogo, ma sempre l’ironia s’interseca, ad arginare ogni idea di tragico, di esilio, con una notazione sdrammatizzante. La terza parte della raccolta contiene poesie come “Zoo in espansione” o “man spricht Italienisch”, dove l’aneddoto serve dire lo spaesamento più e meglio se lo si nominasse frontalmente. Uno spaesamento che non si riveste di angoscia esistenziale, ma si assesta su toni antieroici e anti-eloquenti. Sembra davvero che a Sabatino la poesia sia utile a vivere, a bilanciarne il peso con la leggerezza.
Anche l’ironia, che trascorre sotterranea per tutta la raccolta, è leggera, e contribuisce a ricreare nel lettore lo stesso sguardo divertito e insieme commosso dell’autore. Si veda per un esempio la poesie “Meridione”, contenuta nella terza parte, dove si elencano, del nostro Sud, le brutture e la vitalità, insieme al proprio sentimento confuso di sdegno e appartenenza: “ti odio e ti amo / perché tu te ne fotti, e invece / io non sono capace”.
Stefania Portaccio, Ottobre 2017
I premio sezione A
Scie di Raffaele Sabatino è una silloge compatta, articolata in tre parti di dieci testi ognuno, introdotti dalla lirica che dà titolo all’intera raccolta, dove si mette subito in primo piano il carattere prezioso di ciò che è comune e quotidiano, come quella connessione pacifica che può legare un padre e un figlio diversamente affaccendati in casa. Fin dalla prima lettura risalta la dote principale di queste poesie, ovvero la loro capacità descrittiva (di figure umane, di stati d’animo, di luoghi), che nei momenti più intensi ha la vividezza della narrazione cinematografica.
Nella prima sezione l’attenzione è concentrata sul tratteggio di personaggi ai margini: l’emigrato meridionale devastato dall’alcol (“Uno fuori”), i vicini di casa di origine indiana (“neighbours”), l’apprendista parrucchiera e il meccanico che si amano “a vanvera”, novelli Romeo e Giulietta per cui “nessuno si ammazzerà” (“Giulietta e Romeo”), “qualche matto vero” chiuso dietro le grate di un ambulatorio della ASL (“psychotherapy”). Una poesia degli ultimi che articola sapientemente il suo registro in equilibrio tra la solidarietà sorridente dei testi di Lucio Dalla e il realismo ruvido di Bukowski, per quanto meno disperato. Non c’è infatti maledettismo in questi versi, né una deliberata volontà di sconvolgere piuttosto la quotidianità umile di certe esistenze viene catturata con tenerezza, con una attenzione alle piccole cose, che più che una scelta di poetica sembra una necessità etica ed esistenziale. Quando osserva queste vite segnate dalla solitudine o dalla povertà, Sabatino le illumina e le fa risaltare nella loro bellezza o pregnanza grazie a un sermo cotidianus privo di posa e di enfasi.
Nella seconda parte predominano i ricordi di vita familiare, di padre, ma anche di figlio. Melanconia che non si fa lamento, ma canto, omaggio a cose e persone del passato. Lo sguardo in questa sezione è spesso dalla Svizzera, e nella melanconia si sommano quindi il passato interno e l’estraneità al luogo, ma sempre l’ironia s’interseca, ad arginare ogni idea di tragico, di esilio, con una notazione sdrammatizzante. La terza parte della raccolta contiene poesie come “Zoo in espansione” o “man spricht Italienisch”, dove l’aneddoto serve dire lo spaesamento più e meglio se lo si nominasse frontalmente. Uno spaesamento che non si riveste di angoscia esistenziale, ma si assesta su toni antieroici e anti-eloquenti. Sembra davvero che a Sabatino la poesia sia utile a vivere, a bilanciarne il peso con la leggerezza.
Anche l’ironia, che trascorre sotterranea per tutta la raccolta, è leggera, e contribuisce a ricreare nel lettore lo stesso sguardo divertito e insieme commosso dell’autore. Si veda per un esempio la poesie “Meridione”, contenuta nella terza parte, dove si elencano, del nostro Sud, le brutture e la vitalità, insieme al proprio sentimento confuso di sdegno e appartenenza: “ti odio e ti amo / perché tu te ne fotti, e invece / io non sono capace”.
Stefania Portaccio, Ottobre 2017