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SCIE è una silloge composta da trentuno poesie. Scie della memoria, ricordi. Tracce impresse nella mente. E la mia piccola Spoon River: quelli "fuori" cha entravano e uscivano dai manicomi, il lavoro nero, il profugo a cui facevo la barba durante il servizio civile, l'amico morto in solitudine, il ragazzino "ritardato". Poveracci, disadattati. Ultimi.
Ma anche noi, i morti-vivi nell'alienazione delle "fabbriche", nelle esplosioni in nome di dio, nella distruzione della natura.
Uno fuori
Eri stato al Nord da giovane
perciò ti chiamavano "Brescia"
dopo il nome, come fosse un cognome.
Non ti ho mai visto sobrio.
Al bar ti davano ogni alcol possibile
ma soprattutto birra
tanto ormai eri uno fuori, già vecchio
e come un juke-box
lanciavi i tuoi anatemi sempre uguali;
uno il nome del tuo paese,
l’altro un’imprecazione a una madonna.
Tutti volevano sentirli, e ti istigavano
ridendo alle tue grida roche.
Tu afferravi la bottiglia translucida,
ti vedevamo flettere le vertebre,
formare un arco, come una D sghemba
bere fino all’ultima goccia
caricare verso il cielo una freccia.
Bucarlo, con l’ennesima bestemmia.
SCIE è arrivata finalista alla prima edizione del premio di poesia "Casa Museo Alda Merini", Milano, 2016.
Nel 2017, SCIE ha vinto la XXIII edizione del premio di poesia Renato Giorgi - sezione A - silloge inedita ed è stata pubblicata a fine Ottobre da "Le Voci della Luna".
Ma anche noi, i morti-vivi nell'alienazione delle "fabbriche", nelle esplosioni in nome di dio, nella distruzione della natura.
Uno fuori
Eri stato al Nord da giovane
perciò ti chiamavano "Brescia"
dopo il nome, come fosse un cognome.
Non ti ho mai visto sobrio.
Al bar ti davano ogni alcol possibile
ma soprattutto birra
tanto ormai eri uno fuori, già vecchio
e come un juke-box
lanciavi i tuoi anatemi sempre uguali;
uno il nome del tuo paese,
l’altro un’imprecazione a una madonna.
Tutti volevano sentirli, e ti istigavano
ridendo alle tue grida roche.
Tu afferravi la bottiglia translucida,
ti vedevamo flettere le vertebre,
formare un arco, come una D sghemba
bere fino all’ultima goccia
caricare verso il cielo una freccia.
Bucarlo, con l’ennesima bestemmia.
SCIE è arrivata finalista alla prima edizione del premio di poesia "Casa Museo Alda Merini", Milano, 2016.
Nel 2017, SCIE ha vinto la XXIII edizione del premio di poesia Renato Giorgi - sezione A - silloge inedita ed è stata pubblicata a fine Ottobre da "Le Voci della Luna".
Reperibilità: SCIE può essere acquistato su www.ibs.it o scrivendo direttamente alla casa edirtice: vociluna@virgilio.it
SCIE, Edizioni Le Voci della Luna, 2017, ISBN 978-88-96048-44-3, è un libro cartaceo.
Premiato al concorso "XXIII edizione del premio di poesia Renato Giorgi - sezione A - silloge inedita" Dalla prefazione del Prof. Alberto Bertoni: "L’opera Scie del poeta-ingegnere di origine casertana Raffaele Sabatino è mossa in primo luogo da una efficacissima tessitura di rime e di assonanze, attorno alla quale si costituisce non un’architettura simmetrica, ma una sequenza di racconti che danno voce e spazio all’impersonalità e al non radicamento delle periferie. Le periferie sono tutte uguali, nel nostro mondo occidentale, e non è affatto vero che sono definibili come non-luoghi: anzi, sono |
i veri autentici luoghi che abbiamo finito per abitare tutti. Sono i teatri diffusi e condivisi dei nostri meccanismi di incontro e di dialogo, in una parola gli spazi dei nostri soprassalti di vitalità e di umanità (anche al negativo, va da sé). Eppure, dopo Pasolini le periferie non sono state quasi mai rappresentate dai poeti, o riconosciute come quelle metafore di orizzontalità esistenziale che le rendono il più autentico correlativo oggettivo delle nostre vite massificate, del nostro essere diventati tutti individui-massa. Averle deputate a scenario privilegiato dei propri testi è un pregio non certo minore di Scie, opera innervata di un realismo risentito, capace di muoversi tra polemica, ironia e ricettività nel cogliere l’istante luminoso tra le pieghe dolorose delle esistenze più oscure."
Da "Scie":
Vacanze
ll ragazzo del Senegal
vuole vendermi un cappello di paglia;
è nero come la notte dei tempi
ride, mi chiama capo
io gli chiedo cose in francese
mi traduce sole in senegalese.
Il napoletano con un borsone
mi propone calzini di cotone
gli sorrido mi chiama dottore
gli chiedo quanto vuole
riconosce l'accento
dice che sono buono.
Non ho bontà e non so tante cose
sono uno come tanti su una spiaggia
la tenacia degli alluci sulla battigia;
sono le scritte sui legni di un chiosco
crocifisse sulle docce a gettone.
Sono la ruggine del chiodo
che ci spacca per un'altra stagione.